Oramai Google è considerato più autorevole dell’anagrafe per determinare l’identità delle persone. Almeno così sta succedendo nel mio caso.
Esiste una mia omonima, una persona più grande di me, con la quale da almeno trent’anni vengo regolarmente scambiata. L’equivoco accade perché oltre al nome abbiamo in comune la provenienza geografica. Lei insegna all’Università di Bologna e io mi sono laureata (a quei tempi senza sapere nulla della sua esistenza) nello stesso ateneo. Lei è linguista, docente e ha scritto vari libri, mentre io sono giornalista e qualcosa ho pubblicato anch’io.
I primi scambi di persona sono nati molto prima dell’era di Google: finiti gli studi andai a vivere a Londra e un giorno la ragazza inglese con cui dividevo l’appartamento mi disse che mentre ero fuori casa aveva suonato alla porta un tizio. Mi cercava perché era un mio compagno di scuola. Poi aveva aggiunto che l’aveva mandato via perché era vecchio. Carol, la mia flatmate, era una ragazza poco socievole o forse era colpa del mio inglese? Pensai di aver capito male: «Era vecchio?» «Non solo vecchio, anche brutto. Comunque, glielo aveva detto il vicino di venire qui». Carol sembrava seccata dalla mia perplessità, quindi per saperne di più andai dal vicino, un ragazzo italiano, per chiedere spiegazioni. Abitavamo in una specie di casa di ringhiera e il vicino mi raccontò di questo suo conoscente italiano che era andato a trovarlo e, passando sul ballatoio, aveva notato un pacchetto che fuoriusciva dalla «buca delle lettere» con scritto sopra il mio nome. Così, con un po’ di nostalgia scolastica, aveva pensato di conoscermi bene, tanto da decidere di suonare il campanello, per farsi poi mandare al diavolo da Carol.
«Ah, sarà un caso di omonimia».
Per la prima volta, con nonchalance, liquidai l’accaduto. Un paio di anni dopo, ero sempre a Londra, e avevo cominciato a scrivere per una rivista femminile italiana. Un giorno mi contattò una lettrice dicendo che aveva appena letto il mio libro. Le spiegai che non avevo pubblicato mai nulla, ripetendo la storia dell’equivoco del nome e lei non sembrò neanche troppo delusa. Continuò a essere molto socievole e dopo un po’ aggiunse che stava per venire qualche giorno a Londra e magari, se avessi avuto tempo, avremmo potuto comunque conoscerci. Sentendomi ancora un po’ in colpa per aver ignorato il mio fantomatico compagno di scuola, accettai di incontrare questa signora nella hall del suo albergo. Era un’anziana molto eccentrica e anche un’intellettuale, femminista d’antan, collaborava con la libreria delle donne a Milano. Ero lusingata dalla sua attenzione e tra noi scattò una grande simpatia che sfociò in un’amicizia che durò per molto tempo. Un bell’incontro grazie alla mia omonima della quale poi non sentii più parlare per alcuni anni…